Il creditore non è obbligato di sua iniziativa a dare impluso alla cancellazione dell’ipoteca che assiste il suo credito. (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 15435 del 20 giugno 2013)

La mancata cancellazione dell'ipoteca sull'immobile dopo l'estinzione del debito non produce un danno in re ipsa. Dunque il debitore che lamenta un pregiudizio deve sempre dimostrare di essersi attivato per tale cancellazione ed eventualmente il pregiudizio subito. Anche una tenue residua parte del debito legittima la banca a non prestare il consenso a sgravare il bene.
L'obbligazione del creditore di prestare il proprio consenso alla cancellazione dell'ipoteca, dovendo in caso contrario rispondere dei danni, ed altresì di attivarsi nei modi più adeguati alle circostanze, affinché il consenso così prestato pervenga al debitore, nasce solo a seguito della estinzione dell'intero debito, potendo egli eventualmente rinunciare a tale integrale adempimento, in base ad una scelta di opportunità, in tal modo derogando alla disciplina codicistica in materia, non avente in parte qua natura di norma imperativa.

Commento

(di Daniele Minussi)
L'obbligazione del creditore di prestare il proprio consenso alla cancellazione dell'ipoteca che assiste il proprio credito nasce soltanto dall'intervenuta integrale estinzione del debito. In ogni caso il debitore non potrebbe lamentare alcun danno (la cui sussistenza ed entità è comunque tenuto a provare in maniera rigorosa) qualora non si fosse competentemente attivato perchè si provveda alla cancellazione della garanzia ipotecaria: in questo senso non si configura certamente uno speciale obbligo in capo al creditore, il quale non è tenuto a dare impulso motu proprio a tale incombente.

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