Danno patrimoniale: valutazione in via equitativa del peso economico del pregiudizio futuro. (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 14645 del 14 luglio 2015)

Il danno patrimoniale si scandisce in danno emergente e lucro cessante, e ciascuna di queste categorie o sottocategorie è a sua volta compendiata da una pluralità di voci i aspetti o sintagmi.
Pur dovendo il ristoro del danno patrimoniale normalmente corrispondere alla relativa esatta commisurazione, del danno patrimoniale futuro la valutazione non può essere che equitativa, la quale attiene alla quantificazione e non già all’individuazione del danno e deve essere condotta con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto.
I criteri di valutazione equitativa, la cui scelta e adozione è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, devono essere idonei a consentire di addivenire a una liquidazione equa, e cioè congrua, adeguata e proporzionata.
La liquidazione equitativa deve rispondere ai principi della (tendenziale) integralità del ristoro, e pertanto: a) non deve essere puramente simbolica o irrisoria o comunque non correlata all'effettiva natura o entità del danno ma tendere, in considerazione della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, alla maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento; b)deve concernere, inoltre, tutti gli aspetti (o voci) di danno emergente e di lucro cessante di cui la generale ma composita categoria del danno patrimoniale si compendia.
Il giudice è tenuto a dare congrua motivazione dell'esercizio dei propri poteri discrezionali, spiegando le ragioni del processo logico sul quale la valutazione equitativa è fondata, e indicando in particolare i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato, al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità.
In ordine alla quantificazione del danno patrimoniale futuro, va esclusa la possibilità di applicarsi in modo “puro” parametri rigidamente fissati in astratto o di fare ricorso ad una valutazione rimessa alla mera intuizione soggettiva del giudice, e quindi sostanzialmente al suo mero arbitrio.

Commento

(di Daniele Minussi)
Il caso in esame prende le mosse dall'istanza risarcitoria di chi, all'esito di un sinistro stradale, aveva riportato danni fisici che si erano riverberati sulla perdita della propria occupazione (nella specie la sopravvenuta inidonietà fisica tale da non consentire il proseguimento della carriera militare), pur senza compromettere le opportunità di lavoro nella vita civile, con speciale riferimento al titolo di studio conseguito. La Corte ha escluso, in particolare, che per il tramite del criterio equitativo si possa pervenire ad una quantificazione puramente simbolica del danno: in particolare la determinazione del pregiudizio deve rispondere a criteri concreti indicati in maniera tale da consentire un sindacato di logicità, esclusa ogni possibilità di applicare parametri astratti o di fare riferimento ad intuizioni di tipo soggettivo.

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