Cessione d’azienda: il valore ai fini del registro costituisce la base per la plusvalenza. (Cass. Civ., Sez. VI-T, sent. n. 25290 del 28 novembre 2014)

In tema di plusvalenze patrimoniali realizzate in seguito alla cessione di azienda, la dichiarazione del contribuente, ai fini Irpef, di un valore inferiore a quello già accertato in via definitiva per il medesimo bene in sede di imposta di registro legittima l'amministrazione finanziaria a procedere all'accertamento induttivo della plusvalenza, integrando o correggendo la relativa imposizione con possibilità di utilizzare una seconda volta, ricorrendo anche a presunzioni, gli stessi elementi probatori già posti a fondamento del precedente accertamento. Incombe sul contribuente che deduca l'inesattezza della correzione e dell'integrazione, superare la presunzione dimostrando di aver venduto al minor prezzo indicato in bilancio, fermo restando che il principio di collaborazione tra contribuente ed amministrazione finanziaria non può mai comportare il superamento di circostanze accertate in giudizio o determinare la mancata applicazione del principio dell'onere della prova.

Commento

(di Daniele Minussi)
Solitamente il fisco è schizofrenico: imposte dirette ed imposte indirette "non si parlano". Ecco però una pronunzia che sancisce l'esatto contrario. Il valore dell'azienda oggetto di accertamento nell'occasione della sottoposizione dell'atto ad imposta di registro può ben essere assunto quale base sulla quale computare l'imposta diretta sui redditi in relazione alla plusvalenza realizzata in conseguenza dell'alienazione dell'azienda stessa. Possibile fruire gli elementi probatori già acquisiti ed utilizzati nel corso dell'accertamento relativo al contenzioso sorto in tema di imposte indirette.

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