Cass. Civ. sez. III, n. 12619/2003. Prevalenza del significato letterario nell'interpretazione del contratto. (Cc articolo 1362; cpc, articolo 115)

Nell'interpretazione delle clausole contrattuali il giudice di merito, allorchè le espressioni usate dalle parti fanno emergere in modo immediato la comune volontà delle medesime, deve arrestarsi al significato letterale delle parole e non può fare ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici, il ricorso ai quali (fuori dell'ipotesi dall'ambiguità della clausola) presuppone la rigorosa dimostrazione dell'insufficienza del mero dato letterale a evidenziare in modo soddisfacente la volontà contrattuale.

Commento

La massima si iscrive nell'alveo dell'orientamento secondo cui in claris non fit interpretatio (cfr nello stesso senso Cass. Civ., 4563/95 e Cass. Civ., 2681/72). La decisione vale ad affermare una regola che, nella sua semplicità, non dovrebbe neppure essere posta in dubbio. Quando infatti il tenore delle clusole contrattuali è già di per sè perfettamente chiaro ed univoco, non possono certo invocarsi criteri interpretativi ulteriori, i quali potrebbero invece venire in considerazione qualora l'ambiguità del congegno contrattuale sollecitasse un'indagine più penetrante.

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