Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 5548 del 9 marzo 2011, Gli utili dell'impresa familiare sono destinati, salvo diverso accordo, al reimpiego nell'azienda

La partecipazione agli utili per la collaborazione prestata nell’impresa familiare ai sensi dell’art. 230 bis c.c. va determinata sulla base degli utili non ripartiti al momento della sua cessazione nonché dell’accrescimento della produttività dell’impresa (come per esempio beni acquistati con gli utili, incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento) in proporzione alla qualità e quantità del lavoro prestato. La partecipazione agli utili è quindi condizionata dai risultati raggiunti dall’azienda essendo infatti gli stessi utili naturalmente destinati, salvo il caso sussista un diverso accordo, non alla distribuzione tra i partecipanti ma al reimpiego nell’azienda o in acquisti di beni. In assenza di un patto di distribuzione periodica di tali utili il diritto alla partecipazione agli utili coincide con la cessazione dell’impresa familiare o della collaborazione del singolo partecipante. All’atto della cessazione dell’azienda occorre pertanto che venga fornita prova dell’esistenza di utili da distribuire o di beni acquistati con gli utili in precedenza prodotti o di eventuali incrementi dell’azienda, anche solo afferenti all’avviamento, rispetto alla sua originaria consistenza affinché possa essere riconosciuto il diritto alla partecipazione o al risarcimento.

Commento

(di Daniele Minussi)
Secondo l'impostazione della S.C. l'impresa familiare non è naturalmente destinata a produrre utili da distribuire periodicamente. La valorizzazione patrimoniale, intesa come plusvalore generato nell'arco temporale duramte il quale collaboratori e impreditore hanno operato sfocia nella distribuzione di importi proporzionali alla rilevanza della collaborazione soltanto all'esito della cessazione di quest'ultima.

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