Cass. Civ., sez. III, n. 2468/2009. La struttura sanitaria deve garantire (e provare di aver adottato) misure idonee a preservare la riservatezza del paziente sul test anti-Hiv.

Nessuno può essere sottoposto al test anti-Hiv senza il suo consenso, se non per motivi di necessità clinica, e anche in tale ipotesi il paziente deve essere informato del trattamento a cui lo si vuole sottoporre, e ha il diritto di dare o di negare il suo consenso, in tutti i casi in cui sia in grado di decidere liberamente e consapevolmente, potendosi prescindere dal consenso solo nei casi di obiettiva e indifferibile urgenza del trattamento sanitario, o per specifiche esigenze d'interesse pubblico (rischi di contagio per i terzi, o altro).

La struttura sanitaria è tenuta a risarcire il danno sofferto dal paziente in conseguenza della diffusione di dati sensibili contenuti nella cartella clinica, a meno che non dimostri, a norma dell'art. 5, co. 1, L. n. 135/1990, di avere adottato tutte le misure necessarie per garantire il diritto alla riservatezza del paziente e ad evitare che i dati relativi ai test sanitari e alle condizioni di salute del paziente stesso possano pervenire a conoscenza di terzi.

Commento

Viene in esame una delle prime applicazioni concrete della regola di cui all'art.15 del t.u. 2003/196 in forza del quale l'attività di trattamento dei dati personali si configura, con riferimento all'onere della prova, come attività pericolosa ex art.2050 cod.civ..

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