Cass. Civ., sez. III, n.16595/2005. Poteri del chiamato all'eredità prima dell'accettazione della medesima.

Il chiamato all'eredità prima dell'accettazione di questa può esercitare - a norma dell'articolo 460 del Cc - le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, nonché “compiere atti conservativi, di vigilanza o di amministrazione temporanea”. È evidente, pertanto, che la resistenza (nella specie, in grado di appello), in un giudizio promosso nei confronti del de cuius al fine di sentire accertare che costui non vantava, nei confronti della controparte un diritto di credito contestato non solo non costituisce esercizio di azione possessoria ma neppure integra atto conservato di vigilanza o di amministrazione temporanea dei beni del defunto, ma vera e propria accettazione tacita dell'eredità. Con la conseguenza, pertanto, che ove l'attore - soccombente abbia impugnato la sentenza nei confronti dell'originario convenuto, deceduto successivamente alla sentenza di primo grado, e l'erede di quest'ultimo si sia costituito in grado di appello quale “chiamato all'eredità”, difendendosi nel merito, correttamente il giudice del merito ritiene (anche tenuto presente che in atti successivi alla costituzione lo stesso si era espressamente qualificato erede del defunto) istituito il contraddittorio nei confronti dell'erede del defunto convenuto.


Commento

Non rientra nell'attività conservativa, come tale compatibile con la conservazione della condizione giuridica di mero chiamato, l'attività processuale che si sostanzia nell'opporsi alla domanda giudiziale intrapresa nei confronti del defunto per sentire negare la sussistenza di un credito di costui nei confronti dell'attore.
Il nodo affrontato dalla pronunzia è invero critico, dal momento che una siffatta condotta astrattamente ben potrebbe essere qualificata come semplicemente conservativa della consistenza del compendio ereditario.

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