Cass. Civ., sez. II, n. 9274/2008. Indegnità a succedere e celamento o soppressione del testamento (n.5 art. 463 cod.civ.).

La disposizione di cui all'art. 463, n. 5, c.c. tutela la libertà di testare del de cuius e dunque il rispetto delle sue ultime volontà. Sono, pertanto, irrilevanti comportamenti riprovevoli posti in essere dall'erede nei confronti di terzi.

Le ipotesi di indegnità di cui all'art. 463, n. 5, c.c.,secondo cui è escluso dalla successione come indegno chi ha soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata, rientra tra quelle dirette a ledere la libertà di testare. Occorre, quindi, un comportamento che abbia impedito il realizzarsi delle ultime volontà del de cuius per avere celato un testamento valido ed efficace destinato a regolare la successione. È necessario dunque che tale comportamento abbia inciso sul piano causale sul testamento del de cuius cosicché la successione sia stata regolamentata secondo modalità non conformi alla volontà espressa dal testatore nel testamento celato.
Deve, pertanto, escludersi l'applicazione della norma, quando l'esistenza del testamento non può essere occultata, perché redatto in forma pubblica, e quando colui contro il quale si rivolge l'accusa d'indegnità sia il successore legittimo e l'erede ivi designato.

Commento

La soppressione, l'alterazione e/o il celamento della scheda testamentaria operati dall'erede debbono, ai fini di integrare l'ipotesi di indegnità di cui al n.5 dell'art.463 cod.civ., assumere il ruolo di causa efficiente di una concreta modificazione della delazione ereditaria. Pertanto le predette condotte non possiedono rilievo in tutti i casi in cui un siffatto profilo effettuale sia escluso, come avviene nell'ipotesi in cui il testamento fosse stato revocato o fosse comunque invalido oppure quando il medesimo si fosse sostanziato nella reiterazione della dinamica della successione ab intestato.

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