Cass. Civ., Sez. II, n. 7468 del 31 marzo 2011. Mera annullabilità (per dolo) del contratto concluso in conseguenza di truffa.

Il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro non è radicalmente nullo (ex art. 1418 c.c. in correlazione all'art. 640 c.p.), ma annullabile, ai sensi dell'art. 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente diverso, neanche sotto il profilo dell'intensità, da quello che vizia il consenso negoziale, risolvendosi entrambi in artifici o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e quindi a viziare il consenso allo scopo di ottenere l'ingiusto profitto mediante il trasferimento della cosa contrattata. Si ha così che il dolus malus, anche se penalmente accertato, non può mai di per sé essere causa di nullità del negozio, meno che mai di inesistenza, sotto il profilo della sua illiceità, ma, inteso come vizio della volontà, può portare soltanto all'annullamento del negozio viziato ed ai sensi dell'art. 1427 c.c., il negozio resta in vita sino a quando, ad iniziativa della parte interessata, non sia posto nel nulla mediante sentenza costitutiva.

Commento

(di Daniele Minussi)
Il problema è quello della ritenuta natura imperativa della norma penale, che reagirebbe sotto il profilo civilistico inducendo nullità (virtuale) del contratto. In effetti un siffatto esito interpretativo, se si eccettua l'ipotesi della circonvenzione d'incapace, è respinto dalla giurisprudenza che piuttosto sottolinea l'indipendenza del profilo valutativo della fattispecie. Così, nel caso in esame, il contratto potrà ben essere impugnato per dolo, causa di semplice annullabilità.

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