Cass. Civ., Sez. II, n. 23215 del 17 novembre 2010. Qualificazione del negotium mixtum cum donatione in chiave di liberalità indiretta e mancato assoggettamento del medesimo al formalismo tipico della donazione

Nel negotium mixtum cum donatione la causa del contratto ha natura onerosa ma il negozio commutativo stipulato tra i contraenti ha lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quello dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore realizzandosi così una donazione indiretta. Conseguentemente, per la validità di tale negotium, non è necessaria la forma della donazione ma quella prescritta per lo schema negoziale effettivamente adottato dalle parti, sia perché l’art. 809 c.c., nel sancire l’applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c, che prescrive la forma dell’atto pubblico per la donazione, sia perché, essendo la norma appena richiamata volta a tutelare il donante, essa, a differenza delle norme che tutelano i terzi, non può essere estesa a quei negozi che perseguono l’intento di liberalità con schemi negoziali previsti per il raggiungimento di finalità diverse.

Commento

(di Daniele Minussi)
La pronunzia si iscrive nell'orientamento, assolutamente dominante, secondo il quale il negotium mixtum cum donationem non è riconducibile alla figura del contratto misto, piuttosto dovendo essere qualificato come negozio indiretto, nel quale la finalità che i contraenti si propongono va oltre la causa tipica della stipulazione.

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