Cass. Civ., Sez. II, n. 14921 del 21 giugno 2010. Contratto concluso a condizioni usurarie: nullità per violazione di norma imperativa o mera rescindibilità?

Affinché un contratto definitivo o anche preliminare, il quale importi il trasferimento di diritti o l’assunzione di obblighi verso un determinato corrispettivo in denaro, beni o servizi, possa essere considerato il mezzo in concreto utilizzato dall’agente per commettere il reato di cui all’art. 644, comma 1, c.p., facendosi dare o promettere in corrispettivo di una somma di denaro o di altra cosa mobile interessi o vantaggi usurari, ed incorra quindi nella sanzione di nullità è necessario - a differenza della contigua ipotesi di rescindibilità del contratto per lesione - che il contraente avvantaggiato abbia tenuto un comportamento diretto ad incidere sulla determinazione della volontà contrattuale del soggetto passivo (ad es. provocando o sollecitando la formulazione di una proposta contrattuale particolarmente svantaggiosa per il proponente) non essendo sufficiente (diversamente dalla menzionata ipotesi di rescindibilità) che egli, nella consapevolezza dello stato di bisogno della controparte, si sia limitato a trarne profitto.

Commento

(di Daniele Minussi)
La pronunzia in esame esce dal solco della alternativa secca tra nullità e rescindibilità. Non è detto infatti a priori che la fattispecie vada assoggettata ad una sola tra le alternative predette. La S.C. ipotizza un crescendo progressivo dalla mera condotta di approfittamento della situazione, costituita dall'altrui stato di bisogno, a quella, assai più incisiva (spesso dunque contrassegnata da comportamenti commissivi volti a perseguire il risultato ed ulteriori rispetto a quello della semplice stipulazione del contratto) di sollecitazione della formazione della volontà del contraente usurato.

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