Cass. Civ., sez. II, n. 11594/2004. La rivalutazione monetaria del credito.

Nelle obbligazioni pecuniarie il fenomeno inflativo non consente un automatico adeguamento dell'ammontare del debito, né costituisce, di per sé, danno risarcibile, ma può implicare, ai sensi dell'articolo 1224, comma 2, del Cc, il riconoscimento in favore del creditore, del maggior danno che sia derivato dalla impossibilità di disporre della somma durante il periodo di mora, sempreché il creditore alleghi e dimostri che un pagamento tempestivo gli avrebbe consentito di evitare o ridurre gli effetti depauperativi che l'inflazione produce a carico di tutti i possessori di denaro.
Qualora, comunque, in relazione alla domanda del maggiore danno di cui all'articolo 1224, comma 2, del Cc, venga riconosciuta la rivalutazione monetaria del credito, tale rivalutazione si sostituisce al danno presunto costituito dagli interessi legali ed è idonea, quale espressione del totale ristoro del pregiudizio patito, a reintegrare totalmente il patrimonio del creditore. Deriva, da quanto precede, pertanto, che nei debiti di valuta non possono essere riconosciuti gli interessi sulla somma rivalutata, se non dal momento della sentenza con cui, a seguito e per effetto della liquidazione, il credito, in quanto divenuto liquido ed esigibile produce interessi corrispettivi ai sensi dell' articolo 1282 del codice civile.

Commento

Ribadito l'orientamento in base al quale la rivalutazione del credito pecuniario, una volta riconosciuta a titolo di maggior danno ex II comma art.1224 cod.civ. (in base all'allegazione di idonei elementi intesi a darne conto), viene ad assorbire ed a sostituire a quella liquidazione forfettaria e presuntiva del danno costituita dagli interessi legali. Ciò non esclude la spettanza degli interessi, di natura compensativa, i quali risulteranno dovuti a far tempo dalla pronunzia.

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