Cass. Civ., sez. I, n. 21748/2007. Presupposti per la richiesta di sospensione del trattamento sanitario da parte del tutore dell'interdetto in stato vegetativo permanente.

Ove il malato giaccia da moltissimi anni in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario (fatta salva l'applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica nell'interesse del paziente), unicamente in presenza delle seguenti circostanze concorrenti: a) la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione; b) sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento. Ove l'uno o l'altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l'autorizzazione, dovendo allora esser data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa.



Commento

La pronunzia, pur formalmente inquadrabile nella problematica della libera autodeterminazione di ciascuna persona a valersi o meno delle cure mediche (nell'ambito del diritto costituzionalmente garantito dall'art. 32 cost.), in effetti possiede una non indifferente rilevanza relativamente alla questione dell'eutanasia. E' dunque possibile dar conto della propria volontà, destinata ad essere futuramente apprezzata, di non essere sottoposto a determinate cure mediche nel caso di sopravvenuta incoscienza? E' legittimo dare indicazioni sul fatto di voler che si "stacchi la spina" quando non si sia più in grado di esprimere una volontà?
Al quesito la S.C. parrebbe dare una risposta affermativa, sia pure sulla scorta di ben precisi e circostanziati presupposti.

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