Cass. Civ., sez. I, n. 19390/2007. Ambito di applicazione della presunzione di svalutazione monetaria.

In relazione ai debiti di valuta, l'ulteriore risarcimento a norma dell'art. 1224, comma II, c.c., con riguardo alla svalutazione monetaria, può trovare giustificazione anche nella sola qualità di imprenditore commerciale allegata dal creditore, pure in mancanza di particolari indicazioni delle perdita subite, in quanto il fatto notorio della svalutazione monetaria rimane integrato sul piano probatorio, quanto all'incidenza negativa del ritardo nel pagamento, dalle presunzioni che si correlano alla suddetta qualità imprenditoriale e che attengono al normale reimpiego dei ricavi nell'attività produttiva, cui la somma non percepita è stata sottratta, con conseguente mancata neutralizzazione degli effetti dannosi del fenomeno inflativo. Questa stessa presunzione, peraltro, ha ragione di essere nel caso in cui il credito cui si riferisce l'obbligazione degli interessi attenga all'attività di impresa: infatti la somma, se tempestivamente riscossa, sarebbe stata reimmessa nel ciclo produttivo e finanziario posta, in tal modo, al riparo dell'inflazione. Tale presunzione non può invece trovare applicazione quando il credito insoddisfatto sia estraneo all'attività imprenditoriale, come nel caso di somma reclamata nei confronti di un congiunto a titolo di rimborso delle spese sostenute per il mantenimento del genitore comune.

Commento

La qualifica di "imprenditore" determina la presunzione secondo la quale la disponibilità della somma non corrisposta avrebbe permesso al creditore di evitare le conseguenze pregiudizievoli della svalutazione monetaria.

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