Ancora sulla portata della dichiarazione di cui all’art. 179 lettera f) cc. (Tribunale di Roma del 22 giugno 2012)

I beni immobili acquistati in costanza di matrimonio rientrano nella comunione legale nonostante la dichiarazione fittizia di uno dei coniugi che nell’atto di compravendita dichiara l’intera titolarità dell’altro, laddove chi ha acquistato il cespite non dimostra che l’acquisto sia stato realmente effettuato con il prezzo ricavato dall’alienazione di altri beni personali: ne consegue la statuizione secondo cui l’immobile costituisce oggetto della comunione fra coniugi.

Commento

(di Daniele Minussi)
Continua il "tormentone" relativo alla natura giuridica della c.d. "rinunzia al coacquisto".
Nonostante ciò che si può comunemente pensare, i coniugi che siano in regime di comunione legale dei beni non sono liberi di determinare la esclusività dell'acquisto fatto in capo ad uno soltanto di essi, ma sono necessitati a "dire la verità", cioè a manifestare se quel bene debba o meno considerarsi personale in quanto acquistato con il ricavato scaturente dall'alienazione di un bene personale. Non è questione di volontà delle parti, è questione di rispondenza al vero di una dichiarazione che riflette una fattispecie legalmente tipizzata.

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