Alienazione di fondo agricolo, coltivatore in comunione legale dei beni, impresa familiare e soggetto destinatario della denuntiatio. (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 15754 del 10 luglio 2014)

L'impresa familiare ex art. 230 -bis cod. civ. non ha alcuna rilevanza esterna e non permette di ritenere esistente un rapporto di rappresentanza reciproca tra i familiari e la persona a capo dell'impresa, sicché, in caso di alienazione di un fondo, la denuntiatio ex art. 8, della l. n. 590/1965, ad uno solo dei coniugi componenti l'impresa non ha effetto nei confronti dell'altro ai fini del decorso del termine di esercizio del diritto di prelazione.
In caso di esercizio vittorioso del riscatto agrario, allo spossessamento del compratore sono applicabili le norme che regolano l'evizione totale, sicché il diritto alla restituzione del prezzo pagato ha natura di credito di valuta e, poiché prescinde dalla colpa, anche solo presente, del venditore, ne consegue che, ove il giudice escluda la sussistenza del diritto al risarcimento del danno e il compratore spossessato non provi il pregiudizio derivatogli dal ritardo nel riavere la somma, su di essa non va riconosciuta la rivalutazione monetaria.

Commento

(di Daniele Minussi)
Produce effetto la proposta di alienazione del fondo agricolo ai fini del decorso del termine per eventualmente poter cedere liberamente a terzi quand'anche fosse stata indirizzata alla moglie del coltivatore diretto? La risposta è negativa, quand'anche marito e moglie avessero dato vita ad impresa familiare. Infatti quest'ultima possiede una rilevanza meramente interna, ma l'unico imprenditore rimane colui che svolge l'attività agricola, mentre chi riveste la qualità di mero collaboratore non ha alcuna rappresentanza, neppure dal punto di vista passivo.

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