Ai fini dell’imposta di registro rileva il valore venale del bene nel comune commercio, quand'anche differente rispetto al prezzo dichiarato nel contratto definitivo di vendita. (CTR Perugia, Sez. III, sent. n. 36 del 17 gennaio 2014)

Ai fini dell'imposta di registro, l'Ufficio è tenuto ad accertare non tanto il corrispettivo della cessione dei beni oggetto di compravendita, quanto piuttosto il loro valore venale in comune commercio, con riferimento all'epoca dell'effettivo trasferimento che si perfeziona soltanto con la definitiva conclusione dell'atto di vendita, senza che rilevi il valore stabilito nell'accordo precontrattuale. È evidente come le eventuali pattuizioni del preliminare riguardino solo particolari modalità di pagamento per la cessione dei terreni alla società acquirente, ma tali modalità non rilevano né ai fini dei criteri di tassazione dell'atto di trasferimento di terreni, che rimane un atto di vendita vero e proprio, né tanto meno sul piano probatorio in ordine alla determinazione del valore venale dei beni ceduti.

Commento

(di Daniele Minussi)
Nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici tributari un soggetto alienava un appezzamento di terreno ad una società, la quale successivamente ed immediatamente ne faceva rivendita ad ulteriore acquirente. Nella seconda vendita veniva indicato un prezzo superiore rispetto a quello indicato nella prima alienazione: sulla scorta di tale indice, l'Ufficio emanava avviso di accertamento di maggior valore. Secondo i Giudici non ha pregio la difesa del contribuente, fondata sul reale prezzo pagato nella prima vendita (in effetti dedotta nell'ambito di una complessa operazione permutativa scaturente anche dall'analisi delle intese preliminari intercorse tra le parti). In effetti non tanto rileva il prezzo, quand'anche realmente pattuito e pagato nella misura stabilita, quanto il valore venale del bene, che ben può desumersi dal prezzo corrisposto in riferimento alla susseguente alienazione.

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